21 Set 2021

Dal Segno della Vittoria alla Vittoria del Segno

di Paolo Maria Clemente

 

Un modo convenzionale di presentare Nicotera potrebbe essere quello di partire dalla sua storia: il nome Nicotera deriva dal nome romano Nicotiria che significa “Segno della vittoria”; infatti fu fondata da Ottaviano (il futuro imperatore Augusto) nel I secolo a.C. dopo la vittoria contro Sesto Pompeo. Questo nome riflette un modo di vedere incentrato sulle azioni dell’uomo: Ottaviano ha vinto, Ottaviano ha fondato una città per celebrare il luogo dove gli venne annunciata la vittoria nella battaglia navale in Sicilia. Ma anche il modo di presentare un paese attraverso la sua storia è un riflesso dello stesso antropocentrismo: rileva solo ciò che hanno fatto gli uomini, anzi i grandi uomini. L’espressione “notabili del luogo” denota ancora oggi le persone più in vista di un paese.

Eppure c’è qualcos’altro che scorre come un fiume carsico sotto la superficie delle gesta umane. Svetonio, ad esempio, ci dice che Ottaviano “conobbe in anticipo l’esito di tutte le sue guerre” e che “il giorno prima di impegnarsi nella battaglia navale in Sicilia, mentre passeggiava sulla riva un pesce saltò fuori dall’acqua e andò a cadere ai suoi piedi”[1].

Come (si) comunica con un territorio?

Questo episodio curioso, che pone un elemento extra-umano a fondamento della fondazione umana di Nicotera, ci introduce al modo alternativo di presentare questo paese; si tratta di assumere un atteggiamento mentale ricettivo, consistente nello spostare il baricentro dell’attenzione dall’uomo all’ambiente circostante, che chiamerò “Zona” con riferimento al film “Stalker” (1979) del regista russo Andrej Tarkovskij.

Nel film il cosiddetto mondo inanimato si rivela essere dotato di una propria personalità. In particolare, questa personalità ha la capacità di riflettere lo stato d’animo dei visitatori: “Non appena arriva qualcuno, tutto si comincia a muovere… a certi [la Zona] potrà sembrare capricciosa, ma in ogni momento è come l’abbiamo creata noi, come il nostro stato d’animo… quello che succede non dipende dalla Zona, dipende da noi”.

Spostare l’attenzione dall’uomo all’ambiente significa passare dalla relazione “Io-Esso”, in cui l’uomo è soggetto e l’ambiente oggetto, alla relazione “Io-Tu”, in cui il soggetto umano sta di fronte ad un altro soggetto, la Zona appunto. La Zona si può definire come la totalità del campo percettivo, che in realtà non possiamo mai vedere per intero, perché quello che rimane alle nostre spalle ci sfugge. Con una metafora geometrica, si può dire che la Zona sia la quarta dimensione dello spazio: l’intero; mentre la lunghezza, la larghezza e l’altezza di un ambiente le vediamo con gli occhi del corpo, l’intero lo possiamo intuire solo con l’occhio della mente. La Zona è dunque un’entità immateriale, la cui esistenza dipende da noi.

Torniamo ora al modo convenzionale di visitare una località, in cui le tappe obbligate sono le cosiddette attrazioni turistiche: monumenti, musei, artigianato locale, curiosità enogastronomiche. Nel caso di Nicotera, la cattedrale dell’XI secolo, il castello Ruffo, il museo archeologico e il museo di arte sacra; una guida esperta non mancherà, poi, di far notare che è proprio qui che la cucina mediterranea raggiunge la sua perfezione.

Quale potrebbe essere un modo alternativo di visitare Nicotera?

Esso consiste nella tecnica della deriva, ideata dai surrealisti cento anni fa e ripresa da Guy Debord negli anni ’50. Normalmente siamo portati a considerare la deriva in termini negativi, associandola alla perdita di controllo, all’essere in balia della corrente. Per vederla in termini positivi, dobbiamo fidarci della Zona, rinunciare al nostro itinerario preconfezionato e lasciarci condurre da lei.

La Deriva: una proposta filosofica

La deriva consiste quindi nell’andare a zonzo per la città. Ora questo bighellonare può svolgersi secondo due modalità, a seconda che il baricentro si collochi del tutto o solo parzialmente all’esterno di noi. In quest’ultimo caso abbiamo la flânerie, in cui ci si affida prevalentemente al proprio istinto, nel secondo la deriva propriamente detta, in cui è più importante quello che accade intorno a noi. Ne discende che la flânerie è una pratica squisitamente individuale, mentre la deriva, avendo una sponda esterna, si presta maggiormente alla condivisione con altri.

Nella mia esperienza, il numero di partecipanti alla deriva può variare da due a una ventina e la durata media è di circa un’ora. Il limite al numero dei derivanti è dato dalla necessità di condividere tutto ciò che accade, in particolare l’avvistamento dei segni e le eventuali apparizioni. Il limite temporale è dato dal fatto che la deriva, a differenza della flânerie, richiede uno stato mentale di vigilanza costante.

Si sceglie un punto di partenza e da lì ci si sposta lentamente seguendo i “segni”, cioè piccoli eventi che si verificano qui ed ora. Per cogliere i segni, occorre mettere tra parentesi i tradizionali richiami turistici e guardare al mondo con uno sguardo alieno, facendo attenzione a tutto ciò che si muove, inclusi i rumori e senza dimenticare i profumi. Quando i segni sono ripetitivi, è opportuno seguire la regola della variatio, cioè cambiare tipologia di segno ad ogni avvistamento. Per la stessa ragione non si dovrebbe mai tornare sui propri passi.

In pratica, non saremo noi a decidere che direzione prendere, ma sarà Nicotera a dircelo. Ad ogni incrocio, cioè ovunque ci sia una possibilità di scelta, i derivanti si fermeranno ad aspettare che la Zona faccia loro un cenno, che potrà essere di qualsiasi tipo: dal passaggio di un gatto al volo di un gabbiano, dall’apparire di un aeroplano al suono di un clacson. I notabili del luogo sono i piccoli eventi che accadono qui ed ora, stagliandosi sullo sfondo del paesaggio urbano.

Non sarà una visita guidata a Nicotera, ma una visita guidata da Nicotera. E lo farà in modo imprevedibile, nel senso che la consueta gerarchia estetica ne risulterà stravolta, perché in deriva una foglia che cade val più di una cattedrale. Quando poi sono gli stessi residenti a fare una deriva, dovranno guardarla con occhi nuovi, interfacciandosi con l’intero e non con le singole parti, avvertendo lo sguardo che dal mondo inanimato torna su di loro. Se si arriva a questo, i luoghi toccati dalla deriva rimangono impressi nella memoria dei partecipanti. Ciò perché lo stato di vigilanza che caratterizza la deriva ha l’effetto di rendere mitico l’itinerario: nessuna delle vie che si sono attraversate sarà più la stessa, perché le rimarrà associato il ricordo della deriva.

 

Una nuova consapevolezza turistica

Quando invece la deriva la fanno i turisti, dove sta il valore aggiunto? Cosa ci si guadagna a visitare Nicotera in modalità random? Che cosa potrà consolarli per l’inevitabile perdita di molte – o tutte – le principali attrazioni del luogo?

La deriva può certo riservare delle apparizioni, cioè degli spettacoli interessanti ed inattesi, ma non è questo il punto, perché in deriva la via è più importante della meta ovvero – per dirla con McLuhan – il mezzo è il messaggio. E il mezzo è la comunicazione transumana – uso questa espressione nel senso di una comunicazione che va oltre l’uomo – cioè il fatto di aver instaurato un rapporto con quella presenza invisibile che è la Zona.

La deriva trasforma un giro turistico in un laboratorio filosofico, in cui gli umani giocano con l’Altro. E’ un rapporto ludico, perché la deriva somiglia ad una partita di caccia, dove però le prede sono gli stessi cacciatori, felici di essere catturati dalla Zona; per inciso, l’atmosfera giocosa che si respira in deriva è molto diversa da quella angosciosa del film “Stalker”.

Quando la deriva finita ha termine, inizia quella infinita, che è la vita stessa. Se in deriva si è riusciti ad instaurare la comunicazione transumana, ci si porterà questa capacità nella vita di tutti i giorni, dove ci si potrà far guidare dai segni. Ma non sistematicamente, perché la deriva integra la razionalità senza sostituirla. La Zona va consultata nei rari momenti di divina indecisione, quando ci troviamo davanti a due opzioni di valore equivalente e non sappiamo che pesci pigliare. In altre parole, è quando i media tradizionali ci piantano in asso che possiamo ricorrere al medium artigianale della Zona ovvero perlustrare l’ambiente circostante alla ricerca di un segno che ci suggerisca cosa fare.

La deriva si fa prima a farla che a spiegarla, perché tutti siamo naturalmente predisposti, dal momento che in tutte le culture tradizionali si prestava molta attenzione ai segni. A differenza delle antiche superstizioni, tuttavia, in deriva non si fa uso di simboli universali – come il gatto nero che porta male o la coccinella che porta bene – ma solo di cenni anonimi con cui la Zona indica il cammino. Anche un ignaro passante può fungere da segnale, ma non lo si seguirà fino a casa, bensì se ne ricaverà solo una direzione provvisoria, che verrà ridiscussa con la Zona al bivio successivo. Una volta che da un segno sia stata estratta una direzione, c’è il problema di implementarla nel tessuto urbano, in quanto non tutte le direzioni sono praticabili, a meno che non si voglia trasformare la deriva in un parkour.

La deriva è una pratica ecologica, in quanto insegna ad ascoltare l’ambiente e dunque ad averne rispetto. Un mutamento di mentalità quanto mai opportuno, dal momento che l’atteggiamento predatorio e dissipatorio delle risorse del pianeta che da almeno tre secoli guida la nostra economia ci ha portati ad una situazione in cui il cielo ci sta cadendo sulla testa.

La deriva è anche una scuola di cooperazione, in quanto i derivanti sviluppano presto il senso di un “noi” collettivo, per cui non importa chi abbia visto un segno, basta che serva ad indicare una direzione a tutto il gruppo. La deriva è anche un’educazione alla diffusione della leadership, in quanto lo “stalker” – così si chiama chi assume inizialmente il ruolo di guida – nel giro di pochi minuti mette ciascuno dei partecipanti in grado di guidare la deriva. La scelta dei segni va condivisa tra tutti. A volte, infatti, capita di dover scegliere tra più segni. E’ una selezione che avviene prima di tutto nella mente dell’avvistatore ed eventualmente insieme agli altri derivanti. Una prima decisione da prendere è se un indizio sia significativo o no. Se si decide che il segnale della Zona era troppo debole, allora non lo si segue, contando sul fatto che la Zona ne invierà uno più forte. I segni uditivi, poi, sono costituzionalmente ambigui, soprattutto se è difficile individuarne la fonte: tra due vie che formano un angolo acuto, si può essere indecisi su quale imboccare.

E poi ci sono i casi in cui segni concomitanti indicano direzioni opposte o in cui un segno prima indica una direzione e subito dopo un’altra (come accade talvolta con le cartacce spinte dal vento). In tutte queste situazioni si procede insieme alla “pesa” dei segni. La pesa dei segni è un procedimento democratico, attraverso il quale si cerca di raggiungere il consenso di tutti. Nel caso in cui una parte del gruppo non condivida l’interpretazione di un segno, piuttosto che procedere ad una votazione, è meglio dividersi in due sottogruppi, ciascuno dei quali proseguirà la deriva per proprio conto.

 

[1] Svetonio, Vite dei Cesari, §96.

 

Paolo Maria Clemente

Psicoterapeuta e insegnante, è nato nel 1962 a Sassari, città dove vive e lavora. Dal 2000 al 2003 è stato referente per la Sardegna della Società Italiana di Terapia Comportamentale e Cognitiva (SITCC) e ha insegnato in un master dell’Università di Cagliari. Attualmente insegna Filosofia al Liceo Artistico “F. Figari” di Sassari. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo Imperfetto onirico (Armando editore, 2008), Io addio (Armando editore, 2010) e La deriva. Istruzioni per perdersi (Tlon Edizioni, 2020).

Per il Festival dell’ospitalità condurrà una deriva per le strade di Nicotera il 10 ottobre alle 8 di mattina!